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Montimarzei

Le tre strade che portano a Montemarcello sono tra le più frequentate dai ciclisti locali e anch’io, che sono una ciclista finta che pedala solo per fare le foto fighe e avere una scusa per sfondarsi di focaccia, le percorro almeno una volta al mese.
I motivi sono semplici: da qualsiasi parte si salga o si scenda, la vista è sempre appagante; tre salite diverse permettono di diversificare e, avendone il tempo e volendo faticare di più, si può salire e scendere per poi risalire, senza comunque annoiarsi; per andare e tornare basta avere a disposizione un paio d’ore.

A Montemarcello ho trascorso tutte le estati della mia infanzia: passavo le giornate a lanciarmi giù dalle discesine del paese con lo skate o con un’orribile Graziella, oppure andavo al mare con mio papà, scendendo a piedi quei famosissimi 700 gradini che portano alla spiaggia di Punta Corvo, che a contarli avevo avevo già perso il filo dopo il decimo.
Ogni giorno, alle 16 in punto, dopo il rituale conciliabolo di famiglia in cui ognuno sceglieva quale gelato prendere, facevo merenda col Cialdone, mentre la sera andavo al baretto con mio zio (“oh bimbi, si va a vivere?”) a bere la spuma e a giocare ai videogiochi. Proprio nella sala giochi del bar, una volta diedi un pugno a un bambino, reo di avermi chiamata Maìna; avessi riservato lo stesso trattamento a tutti quelli che, nel corso della mia vita, mi hanno chiamato così per via della mia erre moscia, sarei probabilmente in galera, oltre che orfana.
A Montemarcello le signore del paese che incontravo mi chiedevano “de chi te sen?” (“di chi sei figlia?”), per scordare immediatamente la risposta e riproporre la stessa domanda ogni puntualissima volta, in un loop senza fine saturo di imbarazzo, monosillabi e guance in fiamme.
A Montemarcello sono ambientati la maggior parte degli aneddoti che mia mamma mi racconta da una vita, conditi da filastrocche ed espressioni dialettali che mi fanno sempre molto ridere, anche perché da lei, che parla quasi senza alcuna inflessione, il dialetto non te lo aspetti.
La casa in cui mia mamma è cresciuta, la stessa in cui passavamo le vacanze, non è più della nostra famiglia, ma è sempre lì, e ogni volta che ci passo davanti mi fermo e sbircio dentro al cortile, indugiando abbastanza a lungo da rischiare una denuncia.
A Montemarcello ho un sacco di parenti, ma sono tutti al cimitero, dove non vado né spesso né volentieri perché i cimiteri sono un’invenzione che non ho mai del tutto compreso.