Stamattina sistemo i miei ospiti canadesi e vado a lavorare. Quando torno è tutto buio, non vola una mosca e penso siano andati a vedere un po’ di mondo, come ci si aspetta da dei turisti. Quindi mi faccio da mangiare con la radio a bomba, interloquendo a voce alta con gli speaker, col cibo e con gli oggetti, e forse ciocco anche un paio di rutti. Poi mi metto comoda, ovvero in mutande, e con questo outfit da spiaggia vado in bagno dove piscio con la porta semiaperta. Nel frattempo (dannatissima radio commerciale) canto una pessima canzone di J.Ax di cui ricordo solo “Puertorico” e che quindi fa: “nananananaaaaaaa nananana Puertoricoooo”. A ripetizione, con crescente entusiasmo, mentre faccio lavatrici, stendo lavatrici, do la cera, tolgo la cera, sempre in mutande perché dai, ci son quaranta gradi, poi mica arriveranno adè quelli là.
Poco fa, giusto un attimo dopo essermi finalmente ritirata nella mia ala del castello, li sento uscire di camera, dove erano rimasti per tutto questo tempo, silenziosi come dei fottutissimi gatti ninja.
I miei ospiti bulgari
I miei ospiti bulgari parlano solo bulgaro e sembrano avere una conformazione facciale che gli impedisce di esprimere qualsiasi sentimento diverso dal giramento di cazzo.
Sono arrivati con un’auto a noleggio per la quale non smetteranno di stare in ansia finché non ci rimetteranno il culo sopra e la riporteranno dove l’han presa.
Il soggiorno gliel’ha prenotato la figlia, che padroneggia la tecnologia e le lingue straniere; forse voleva essere un regalo, una bella vacanza in Italia per i loro trent’anni di matrimonio, e non ce l’hanno proprio fatta a dirle che non ce n’avevano manco per le balle, perché anche se son dei burberoni a lei le vogliono comunque un gran bene. E un po’ sento di volergliene anch’io, mentre mi parla al telefono in veste di aiuto da casa, con quella voce sottile e quel tono dolcino e un po’ colpevole di chi sa di averti appioppato una rogna infernale.
I miei ospiti bulgari hanno un sacco di bagagli, due terzi dei quali necessitano di essere conservati in frigorifero.
Mi piacciono le persone
Mi piacciono le persone che si innamorano di tutto, non di tutti.
Mi piacciono le persone che soffrono, ma sanno essere felici comunque.
Mi piacciono le persone che piangono spesso.
Mi piacciono le persone che sorridono più di quanto non ridano.
Mi piacciono le persone che predicano uguale a come razzolano.
Mi piacciono le persone che sanno riconoscere i propri sbagli.
Mi piacciono le persone che sanno riconoscere i propri meriti, senza per questo sentirsi migliori.
Mi piacciono le persone che si fermano a tenerti la porta aperta, anche quando sono di fretta.
Mi piacciono le persone che parlano piano.
Mi piacciono le persone che sanno auscultare.
Mi piacciono le persone che non temono nulla, tranne il nulla.
Mi piacciono le persone nelle sale d’aspetto, con le mani sul petto, incerte su cos’è causa e cosa effetto.
Chiusa una strada si apre un sentiero
Chiusa una strada si apre un sentiero.
Che detta così sembra un pacco, ma anche quella del portone non mi ha mai convinta molto. Voglio dire, dobbiamo proprio farne una questione di dimensioni? Che poi ci tocca stabilire se contano o non contano e finisce in caciara con tutti giù a ridere pensando a cazzi e cazzetti che dai, diciamolo, son sempre buffi.
Oggi avevo deciso che sarei andata in bici, ma poi erano le due, e poi le tre, e poi c’ho sonno, e poi mi tocca vestirmi, e poi farà caldo? Ma quanto caldo? E se mi ammalo? E se mi ammazzo? Sto a casa, dai. Eh, però c’è il sole. Dove vorrei essere ora? Al mare. A letto. Su un lettino al mare. Su un materasso galleggiante in mezzo al mare. In bici. Vado.
Volevo andare alle Cinque Terre, mi sembrava la meta giusta per santificare una domenica di sole da sola.
E invece: presa a cantare le peggiori hit del momento, ho mancato la svolta e, siccome il mio regolamento personale mi vieta di tornare indietro salvo cause di forza maggiore, ho proseguito fino a Beverino con l’intenzione di ripiegare su un giro sfigatissimo della Val di Vara.
E invece #2: mi sono trovata di fronte a una strada chiusa con recinzioni invalicabili, mentre un uomo in panza e slippini mi suggeriva di sfondare tutto con la forza bruta, di cui, signor slippini mi voglia perdonare, sono del tutto priva.
La fine e il senso della storia è che ho deviato sul Sentiero dei Tedeschi, mi sono persa intorno a un campo di sterpaglie da cui non ero mai passata prima, mi sono infangata fino alle gengive e mi sono divertita come una sciocchina.
E non posso fare a meno di pensare che sia una metafora di questa stramaledetta vita, il fatto che i sentieri, per quanto sporchi e cattivi, possano offrire paesaggi migliori e maggiore divertimento delle comode strade asfaltate.