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I miei ospiti salernitani

I miei ospiti salernitani sono del 92 e mi danno del lei.
Vivono qui da cinque giorni e ci vivranno ancora per altri due; girano per casa in costume e cucinano dopo la doccia col turbante in testa, ascoltando quelle canzoni finto-indie italiane che vanno di moda adesso, che mi fanno cagare ma che mi viene comunque da fischiettare nel tragitto dalla mia camera al bagno, perché porca puttana le so tutte. E mi danno del lei.
Ma io non sono mica una signora, una con tutte stelle nella vita, ma per chi mi avete presa? Cioè, dai, bella raga, facciamoci i selfoni, postiamo le stories, beviamo le birre, diamoci i cinque altissimi, datemi del fottutissimo tu, vi prego.
Ma niente. Mi sento come quelle mamme imbarazzanti che rappano nelle pubblicità delle merendine, pensando di sembrare delle giustone agli occhi dei figli adolescenti, che invece vorrebbero palesemente morire male.
I miei ospiti salernitani sono del 92 e tengono il Nero d’Avola in frigo, e vorrei tanto dirglielo che non si fa, che è una schifezza, ma poi mi direbbero di farmi i cazzi miei e di tornare a postare i buongiornissimi su Facebook, ovviamente dandomi rispettosamente del lei, e allora bona, vado a letto che alla mia età è l’ora.

La giovane e graziosa ciclista anglofona di origine incerta

Certe storie sono fatte per essere raccontate, altre per essere dimenticate, altre ancora per essere inventate.
Questa è la storia di quella volta che, mentre pedalavamo su per la Litoranea, la mia compare ha bucato una gomma e siamo state soccorse da una giovane e graziosa ciclista anglofona di origine incerta.
Ci trova così: una completamente nera di grasso di catena – con tanto di mezzo baffo alla Hitler – intenta a cercare adesivi per terra, che vorrebbe usare come pezze posticce; l’altra a girare e rigirare un guanto usa e getta come se fosse un cubo di Rubik, alla ricerca di un’improbabile soluzione in stile McGyver.
La giovane e graziosa ciclista anglofona di origine incerta, provvista di tutta l’attrezzatura utile alla riparazione, ci fornisce una toppa e della colla, che maneggiamo con lo stesso fare esperto di un quindicenne alle prese col clitoride della sua fidanzatina.
Nel frattempo abbozzo un paio di battute in inglese, in un tentativo maldestro di smorzare l’imbarazzo, ma lo sguardo della nostra soccorritrice si fa sempre più eloquente: ci ha definitivamente e irreversibilmente classificate come abelinate.
Per conservare quel poco di dignità rimastaci, decidiamo di congedarla e finire il lavoro da sole: non insiste e si rimette in sella, rispondendo al nostro “tenchiu” con qualcosa che non capiamo, ma che nella nostra fantasia suona come un “pensatemi!” seguito da svariati emoji a forma di cuore.
Nel finale alternativo di questa storia, la giovanotta di cui sopra si innamora di me, ci sposiamo seduta stante e partiamo insieme per un cicloviaggio di nozze alla volta dell’infinito, lasciando la mia compare nella merda.