Le mie ospiti taiwanesi hanno prenotato mesi fa dicendo che sarebbero arrivate alle dieci di sera. Le contatto un paio di giorni prima per avere conferma dell’orario, e non ricevendo mai risposta penso “sticazzi, arriveranno alle dieci di sera”.
Mi scrivono alle quattro e mezza per dirmi che sarebbero arrivate alle sei e io, che nel frattempo sono affanculo in bicicletta, mi scapicollo per rientrare in tempo per docciarmi e riceverle con un outfit un minimo più consono. Alle cinque e mezza mi informano che sono ancora a Pisa e non saranno a Spezia prima delle otto. Le odio già, e mentre rispondo a monosillabi come una fidanzata stizzita, comincio a pensare alla pessima recensione che scriverò su Airbnb.
Alle otto scendo a recuperarle in piazza perché si sono smarrite: le riconosco dalle valigie enormi e dal tipico guardarsi intorno a vanvera, malgrado abbiano numero civico e foto con tanto di frecce che indicano palazzo e portone. Mi avvicino chiamandole con degli “hey”, perché con la pronuncia dei nomi taiwanesi non è che me la cavi benissimo. Quando si accorgono della mia presenza alle loro spalle, si voltano e porca puttana sono bellissime: due sorrisi da restarci secchi, i lunghi capelli scuri mossi da una coreografia impeccabile, al rallentatore, come nello spot di uno shampoo. E all’improvviso ciao odio, ciao disappunto, ciao recensioni di merda, ciao meritocrazia, ciao ciao dignità.