I miei ospiti guatemaltechi sono padre e figlio e arrivano trascinando un borsone a ruote che contiene le loro due bici. Quando vedono la mia parcheggiata in salotto mi chiedono di chi sia, perché giustamente a me non mi danno due lire. Per riscattarmi, alla domanda su quale sia il mezzo migliore per visitare le Cinque Terre, rispondo “raga, avete voluto la bicicletta, adè pedalate”. Loro si gasano, si danno un cinque altissimo e poi fanno quella roba di picchiarsi i petti l’uno contro l’altro, come i maschi scemi nei film americani quando tipo sono sbronzi, parlano di figa o segnano un touch down. Vorrei stare tutto il giorno con loro a girare in bici, darci i cinquoni, parlare di sport idioti e di donne che non avremo mai, bere le birre e fare le gare di rutti.
Ma il vero motivo per cui ho scritto tutto ciò è che non avevo mai avuto ospiti guatemaltechi e non avevo mai usato la parola “guatemalteca”, che è una parola bellissima che mi fa venire fame.