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Fiumaretta

Stamattina mi sono svegliata con una gran voglia di morire, che ha fatto presto a diventare terrore di morire quando, grattandomi la testa, ci ho trovato un bozzo. Tutt’ora ignoro se sia un brufolo, una legnata presa nella notte in circostanze misteriose, o un bruttissimo male; nel dubbio ho deciso di non toccarmi più la testa fino al 2020. Perché fanti, quando dicono di stare attentissimi a quello che si desidera, non è proprio una cazzata.
Per sfuggire a questo dicotomico senso di disagio, aggravato dall’invadenza sonora della pessima playlist musicale selezionata dall’assessore al Natale, sono andata a farmi un giro. Un giro debosciato e senza fantasia che mi ha portato a Fiumaretta.
A volte i luoghi sembrano chiamarti: per farti ricordare qualcosa, per fartici fare pace, o perché, come tutti, hanno bisogno di essere guardati.
Fiumaretta, in estate, dal punto di vista balneare è una meta abbastanza sfigata, se sei un local. Però se ci vai come i miei alle 8 del mattino, trovi parcheggio e la vita ti sorride. E poi ricordo che c’era un sacco di spazio per scavare le piste delle biglie col culo, quando io e mio fratello eravamo bimbetti e ce ne strasbattevamo del paesaggio e della limpidezza del mare, che avremmo fatto il bagno anche nelle pozzanghere.
Invece d’inverno quei posti lì, come anche Marinella e tutte le spiagge della Versilia, hanno il loro perché. Un perché fatto di desolazione, abbandono e degrado: la natura che, finalmente lasciata in pace, si sbraga e si lecca le ferite.
Il mare di oggi era un mare decisamente sbragato. Sporco, maleodorante e chiassoso. Ed è curiosa la sensazione di pace e meraviglia che un elemento così disordinato e carico di inquietudine è in grado di trasmettere.

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