Ho sbagliato a vestirmi, faceva più caldo l’ultima volta che sono uscita. Ok che marzo è pazzerello, ma pensavo avesse già raggiunto un livello di follia sufficientemente elevato, a ‘sto giro.
Metto in moto, parte la radio a bomba, non trovo il volume e neanche la frizione. Mi hanno invertito i pedali, ne sono certa.
Apro i finestrini per respirare, per sentire di nuovo la brezza primaverile fra i capelli, che ormai hanno raggiunto una circonferenza pressoché impenetrabile: ma quale brezza, quale primavera, fa un freddo porco. Richiudo tutto e imposto la temperatura a centottanta gradi, ventilato, sopra e sotto, dieci minuti.
Al supermercato sono l’unica senza guanti, senza mascherina, senza un elmo di Scipio, uno scudo laser, niente. Non so come facciano ad averli tutti, dove li trovino, a chi li freghino o quanti mesi fa abbiano cominciato a farne scorta. Mi metto i guanti del reparto frutta e verdura, taglia Incredibile Hulk; per aprire i sacchetti mi deve aiutare un gendarme perché non c’ho grip.
Una voce dagli altoparlanti ricorda le misure anticontagio: stare ad almeno un metro gli uni dagli altri, niente strette di mano, niente limoni ma una strizzatina a una chiappa, purché a debita distanza, perché no.
A casa mi levo le scarpe, lascio le borse all’ingresso, mi lavo le mani quelle sei-sette volte.
Mentre sistemo i prodotti mi chiedo se sia il caso di pulirli tutti uno per uno, ma decido di limitarmi a quelli con cui prevedo di avere rapporti più intimi e frequenti, perciò le birre.
L’ultima volta che ho fatto la spesa settimanale, le birre me le sono finite tutte il giorno stesso, ma in compenso sono riuscita a non far marcire nulla; evento assolutamente inedito, nella mia onoratissima carriera di single.