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Il covid è colpa mia

Il covid è colpa mia.
Non sono una persona espansiva, e tenere le distanze dal prossimo è una cosa a cui sono portata naturalmente.
Quella roba di doversi baciare quando ci si saluta a prescindere dal livello di confidenza, poi, non mi è mai piaciuta. Perché checcazzo, i baci sono importanti.
Ho provato negli anni le più svariate tecniche per sfuggire a questa usanza; quella che si è rivelata un minimo più efficace è salutare con la mano a paletta un po’ protesa in avanti, mentre si indietreggia e ci si volta lentamente in direzione opposta. Il messaggio che spero di comunicare è un “ciah, fermo lì, bòna eh”, che detto a parole rischierebbe di suonare un po’ maleducato.
Ora bacerei pure quell’uomo che alla Coop mi sgrida se non mi metto i guanti sopra ai guanti prima di palpare le arance.

Il covid è colpa mia.
I luoghi affollati non mi piacciono. Non mi sento a mio agio, non so cosa devo fare, con chi parlare, in che posizione stare per non sembrare una belinona. Non si sente niente, non ci vedo niente, mi perdo gli amici. Finisco sempre per sbronzarmi e andarmi a cercare un nascondiglio.
Stamattina mentre ascoltavo Amanda Palmer che fa le cover dei Radiohead all’ukulele, ho immaginato di essere alla Baracchetta a Lerici, verso il tramonto, con lei che suonava sotto al glicine, io seduta sulle scalette di fronte con in mano la terza Zadrapa, intorno a me un mare di gente in zavatte, e da qualche parte, anche se fuori dal mio raggio visivo, qualcuno dei miei amici.
“Magari”, ho pensato.

Il covid è colpa mia.
Non ce n’avevo manco per le balle, quest’anno, di aprire il b&b. Di tornare a condividere casa con perfetti sconosciuti, di dover interagire con loro, sforzarmi di essere simpatica, gentile e sorridente, fingere che mi piacciano sempre tutti per guadagnarmi recensioni tali che invoglino altre persone a prenotare un soggiorno da me. Altri perfetti sconosciuti con cui dividere casa e sforzarmi di essere simpatica, gentile e sorridente.
Ho ordinato una pizza, qualche sera fa: quand’è arrivato il fante a portarmela, ero così emozionata di parlare con qualcuno che la pizza gliela stavo lasciando a lui.

Il covid è colpa mia.
Da che ho memoria, il giorno di Pasqua l’ho sempre passato coi miei. Ma da ragazzina, il detto “Pasqua con chi vuoi”, se avesse avuto valenza di legge, mi avrebbe spesso portata altrove.
Oggi l’unica interazione umana non virtuale che ho avuto è stata col tizio che abita nel palazzo di fronte, con cui ci siamo scambiati dei sarcastici auguri, un paio di battute e qualche imprecazione a quel cielo blu che più blu non si può, che da qui scorgiamo appena e dal quale ci sentiamo unanimamente presi per il culo.
Se quel “Pasqua con chi vuoi” avesse valenza di legge, questa giornata, questa domenica infinita, la starei passando esattamente come ogni altra Pasqua di cui ho memoria, da quarant’anni a questa parte.

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