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Quando chiudersi in casa a fare gli sciattoni era una scelta

Ho comprato un paio di bragoni alla Coop, di quelli che trovi buttati malamente in quei cestoni che ti costringono a ravanare per ore per pescare una taglia che non sia la SMEFL (super mega extra fucking large); i classici pantaloni da casa, via.
I pantaloni da casa devono rispondere a tre semplici esigenze: costare poco, essere comodi e caldi, non farti vergognare troppo se ti strozzi con le patatine guardando Netflix rincagnato nella poltrona e sei costretto ad andare al Pronto Soccorso così come sei, senza passare dal via; o se la postina che ti porta le stronzate che compri su Amazon è almeno un po’ figa; oppure se devi scendere a comprare la birra al minimarket o a far pisciare il cane.
Un’altra caratteristica apprezzabile sarebbe l’assenza di scritte, che invece campeggiano sempre a caratteri cubitali e sono spesso slogan sportivi, aggressivi, da fanatici dello sforzo fisico; in questo caso un bel “RUN HARD” sulla coscia destra.
A parte che se mi metto il tutone di felpa per andare a correre, ma pure a prendere l’autobus un po’ di fretta, ci sudo le madonne dentro e mi trasformo in una gigantesca spugna da bagno. Mi chiedo quand’è che i produttori di tutoni e felponi si arrenderanno al fatto che il loro target non sono gli sportivoni, ma gli sciattoni, gli stanconi e i ciabattoni.

3 Replies to “Quando chiudersi in casa a fare gli sciattoni era una scelta”

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