Stamattina sono andata a correre.
Rimanendo in quei duecento metri di merda da casa, creando un solco nella pavimentazione tale da accelerarne sensibilmente l’erosione, sotto gli occhi vigili dei Vigili, mi sento ogni volta come Piper Chapman nel cortile di Litchfield.
Sì, lo so che non siamo davvero in galera e che so un cazzo dell’inferno che è la galera (come del resto le tizie di Orange Is The New Black). E già che ci sono: sì, lo so che non siamo in guerra, e so un cazzo dell’inferno che è la guerra. Del resto pure chi sta in guerra e in galera sa un cazzo dell’Inferno.
Stamattina sono andata a correre e per la prima volta non ho incontrato nessun delatore, non ho incrociato nessuno sguardo di disapprovazione. Non che mi sia dispiaciuto, ma ho avuto la sensazione che fossimo tutti diventati pratici, abituati. E l’abitudine non è adattamento, come va tanto sbandierare di ‘sti tempi, come se fosse un superpotere dell’essere umano. L’abitudine è rassegnazione. Ci stiamo rassegnando.
A pranzo mi sono bevuta due spritz e durante il giorno ho fatto secca una bottiglia di vino rosso, ho ascoltato quelle quindici volte Bella Ciao e ho ballato i Modena City Ramblers come manco nel duemila.
Cioè, veramente manco nel duemila. Chi cazzo ha mai ballato in pubblico.
In effetti non ho mai ballato tanto quanto in questa quarantena.
Dopo cena sono andata a buttare la spazzatura e c’era una temperatura perfetta, un’aria fantastica, un profumo di fiori che mi chiedo perché non mi abbia fatto starnutire.
In giro nessuno, tranne i rider delle pizzerie e i padroni dei cani brutti, perché quelli che c’hanno i cani belli a quanto pare preferiscono sfoggiarli di giorno.
Sono andata a vedere se c’era ancora la macchina: c’era.
Sono andata a vedere se c’era ancora lo scooter: c’era.
Sono tornata alla macchina per vedere se la pioggia aveva lavato la merda di piccione: no.
Sono andata in Piazza Saint Bon a sentire se il profumo di fiori veniva da lì: sì.
Insomma, ho ripercorso gli stessi solchi tracciati al mattino correndo, per venti o forse trenta minuti, sentendomi sia benissimo che una fuorilegge, col terrore che ogni auto fosse quella degli sbirri manco stessi spacciando eroina fuori dalle scuole, respirando forte, guardando nelle finestre dei palazzi, notando le travi di legno nei soffitti, le diverse tonalità di luce, di vernice, i diversi accenti, le diverse lingue provenienti da ogni appartamento.
È rassicurante quando le strade sono vuote ma le case sono vive. Mi sembra che tutti veglino su di me. Che idiozia.
Poi ho pianto. Di fronte al confine invisibile dei duecento metri, invisibile e impalpabile, ma comunque invalicabile, come un muro magnetico o elettrificato, ho pianto.
Ho camminato per un altro po’ piangendo.
Ho incrociato un altro paio di padroni di cani brutti.
Incredibile ‘sta cosa che ci sia un orario per i cani brutti.
Dio quanto li amo, i cani brutti.
Meraviglia.
E la Bella ciao dei Modena è la miglior versione di sempre, a tutt’oggi.
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Sono d’accordo. Forse i miei vicini di casa non altrettanto, da ieri.
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😀
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