“Ahi ahi ahi ahi, un giorno ti innamorerai”.
Il canto si propaga sguaiato ed esasperato nel cavedio, mentre io affetto le cipolle in attesa della diretta di Conte.
Il cavedio, se non fosse per le beghe condominiali, non l’avrei mai saputo che si chiamasse così. Sarebbe stato il buco inutile all’interno del palazzo, da cui provengono odori bizzarri e vociari multietnici a cui non sono mai riuscita a dare dei volti; che affacciandosi, inspiegabilmente, non si vede mai nessuno. Tanto che non escludo che in realtà ci siano delle persone che vivono dentro al calorifero della cucina: persone piccolissime ma sorprendentemente chiassose, dall’attitudine crepuscolare, come i gatti.
“Magari!” rispondo altrettanto sguaiata ed esasperata, con l’intenzione di farmi sentire. Magari? Ma perché l’ho detto? Non vuol dire niente. Magari chi? Io? Lui? Quella là? Chissà.
Però lo fa ridere, forse semplicemente per il fatto inaspettato di ricevere risposta, come se quel canto l’avesse urlato dentro un pozzo.
Poi, non so bene perché, mi torna in mente una bambina che il giorno prima ho sentito chiedere al padre se fosse nato prima l’uovo o la balena, instillandomi il dubbio che forse, se ancora a ‘sto mondo non c’ho un verso, è che mi sono sempre fatta le domande sbagliate.
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