Correre è una figata. Quando sei bravo, quando sei capace. Altrimenti è un martirio.
Quindi corri sperando di progredire quel minimo che lo renda divertente, ti puppi il martirio, ma prima di subito ti rompi il cazzo e non corri più.
Finché un giorno ti torna la voglia, magari perché hai rincorso l’autobus per duecento metri, ti sei affrettato sulle strisce pedonali, oppure sei scappato dagli zombie.
Ah, nei film son tutti dei pro, quando si tratta di scappare. A me mi farebbero secca subito: asma, infarto, magari una storta.
E dunque ti rimetti i vestiti da stronzo, le Nike tamarre giallo fluo, o verde fluo, o fucsia fluo, o d’oro fluo, o di mille colori sempre fluo; esci di casa ganzissimo, non prima di aver pubblicato una foto con le dita a V e una didascalia sfigata tipo “daje”.
Manco cinque minuti e ti ricordi perché avevi smesso.
Ti stramaledici, rantoli, sputi. Ti guardano male perché cosa cazzo sputi, che c’è il covid.
Respiri di merda, ti fa male tutto, ma ormai sei lì, t’han visto, hai scritto “daje”, almeno mezz’ora ti tocca farla.
Uno strazio lungo mezz’ora.
Però, alla fine, il solo fatto di sopravvivere ti fa sentire un eroe.
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