Mi accorgo della sua presenza alle mie spalle quando inizio ad arrancare su per Ameglia zigzagando con andatura svogliata, distratta e poco efficiente. Mi scuso per non averlo visto e avergli quasi tagliato la strada.
“No, figurati, saliamo insieme”
“Eh, non credo”
“No, no, io vengo da Portovenere, son più stanco di te”.
Chissà perché dà per scontato che io venga da meno lontano. Poi belin, te m’è ito Portivene, mica Sao Paulo do Brasil.
Quando qualche minuto dopo ci ripensa e mi chiede da dove sia partita io, vorrei farlo secco con una risposta a caso tipo “Pinerolo”. Poi vorrei dirgli che non è che sono stanca, è che oggi ne ghe n’ho vogia.
Non lo faccio, rispondo seria, ma non posso fare a meno di immaginare partire una garetta a chi ha la scusa migliore per fare schifo:
“Sì, ma io c’ho le mestruazioni”
“Io la prostatite”
“Io la cellulite”
“Eh, ma io ho giocato a calcetto giovedì”
“Io a ping pong venerdi”
“Ho bevuto uno spritz sabato “
“Io ho mangiato la pizza, mi pare domenica”.
“Sono andato a prostitute lunedì”
“Ah, eri tu?”
Proseguiamo la salita ruota a ruota, lui davanti io dietro, ma a un certo punto decido che mi sto annoiando e lo stacco, non senza prima fargli notare che “no, sai, con la monomarcia se perdo il ritmo…”
Lo rivedo in cima, mentre riempio la borraccia alla fontana. Gli faccio un cenno ma tira dritto: mi sa che mi odia.
A quel punto mi metto in testa che devo batterlo anche in discesa. Gli do pure un bel po’ di vantaggio, tanto se non lo ribecco non lo saprà mai. Invece lo ribecco e lo supero in curva come un teppista, mentre lui si sta facendo i cazzi suoi guardando il panorama e grattandosi le cosce. Ma deh, bèlo, vale lo stesso, le senti le ovazioni da bordo strada?
Mi rendo conto adesso che quel “non credo” che gli ho detto all’inizio, abituata ad essere sorpassata da uomini, donne, grandi e piccini, ora suona come un “ti faccio il culo, stronzetto”.
Sono il peggiore dei coglioni.