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Dignità

A Senato c’è un signore, avrà ottant’anni, pigiama celeste, fantasia di ancore.
Fa ginnastica a bordo strada, poco distante da casa, incalzato dalla moglie che in piedi davanti alla porta gli grida qualcosa che non riesco a sentire: forse che è pronto il caffè, o che lo vogliono al telefono, o forse soltanto che è un cretino.
Respira forte mentre alza ed abbassa le braccia assorto, e i polmoni gli si riempiono di smog.

Sul Canale Lunense c’è un ragazzetto, avrà quindici anni, tuta sgargiante, bici da montagna.
Si molleggia sui pedali, fa salti sul posto e quando ci incrociamo impenna: sono invidiosissima, che io a impennare non ho mai imparato.
Mi scappa un “bomber!”, mi manda a cagare, ma poi sento che ride.

Viale XXV aprile, c’è una puttana, avrà cinquant’anni, mascherina chirurgica, piumino viola.
Raggiunge la sua postazione di lavoro attraverso la sterrata che costeggia la strada: testa alta, passo stanco ma sicuro, una grossa borsa in una mano e una sedia pieghevole nell’altra.
“Che dignità”, penso.
“Che pensiero di merda”, mi dico poi.

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