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La sensualità delle suore

C’è qualcosa di intrigante nelle suore che passeggiano al molo, con ritmo deciso, quasi sportivo: le scarpe da ginnastica nere serrate sulle caviglie, gli abiti incolori, le giacche ampie e informi e le gonne lunghe che lasciano scoperta soltanto una piccola porzione di polpaccio.
Il tentativo di nascondere le proprie forme, il proprio essere donne fatte come le donne, vanificato da un vento contrario che fa svolazzare i loro veli pesanti e pietosi e rende i vestiti avvolgenti, attillati sulle cosce e sul corpo.
Un vento contrario al pudore ostinato della Chiesa, ai suoi dogmi stantii, al suo ridicolo dress-code.

Stamattina sono andata in bici dopo due mesi

Stamattina sono andata in bici dopo due mesi, e mentre mi vestivo ho avuto una sgradevole sorpresa, che poi non è stata affatto una sorpresa: i calzoncini faticavano a salire, la giacca a chiudersi, anche le scarpe sembravano essere diventate più strette.
Merda, due mesi e non mi entra più niente.
Ma poi perché dico che non mi entra, quando sono io a non entrarci? È un chiaro tentativo di deresponsabilizzazione: è colpa loro, mica mia. Bastardi.
Ah, come sono fan della deresponsabilizzazione.
Ma torniamo a noi. A me.
A me che oggi sono andata in bici dopo due mesi e non ero buona da un belin di niente, ma porca puttana quanto ne avevo bisogno.
Di sudare, di avere il fiatone, di sentire il cuore pompare. Perché sì: sono andata fino a Lérse, mezz’ora a passo nonno e c’avevo già il fiatone. Ma cosa volete, in questi due mesi il mio massimo sforzo ginnico è stato camminare sulle stampelle, sollevare le birette e lavarmi il dente su un pé solo. ‘Na vitaccia.
Il cuore, comunque, è una roba assurda. Che c’ha bisogno di battere forte per smettere di battere forte. Come se ne avessimo più di uno, ognuno con una funzione diversa, tipo i polpi. Un cuore per l’ansia, uno per l’amore, uno per restare vivi.
Ma chissà cosa dico, c’ho più vino che saliva in bocca.
Un ultimo bicchiere, uno soltanto.
L’ultimo bicchiere di vino bevuto tutto d’un fiato prima di andare a letto è come una testata secca contro al muro, data di proposito, col preciso intento di crollare sul colpo e non risvegliarsi prima di averlo smaltito tutto, quel vino, e prima che tutto, ma proprio tutto, vada molto più che benissimo.
Così, da solo, senza nessuno sforzo.
Allora io mi metto qui un attimo a riposare gli occhi, giusto un attimo, poi arìvo eh.

Ci incontravamo da Tiger

Ci incontravamo da Tiger, fingendo che fosse per caso.
– Che ti compri?
– Un dito medio di legno, uno spazzolino da denti che si piega in quattro e un biliardo per persone piccolissime. E tu?
– Corona da principessa, calzini coi cactus e questi cereali per la colazione.
– Credo sia pot-pourri.
– Sicura?
– No.
– Ma dimmi un po’… – Dicevamo quasi all’unisono dopo un silenzio lungo almeno un minuto.
Abbassavo la testa, tu la giravi da un lato.
– Stai bene – Ti dicevo guardandomi le scarpe.
– Anche tu – Mi dicevi cercando l’uscita con lo sguardo.
Poi ci salutavamo chiamandoci per cognome.
Succedeva ogni lunedì, fra le sedici e le sedici e quindici, da otto anni, nove mesi e diciassette giorni.

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Giacca di plastica
le solite Vans gialle
la destra un po’ slacciata

Birra rossa Fior Fiore
tè deteinato
caffè, ma non per me

Un comodino nuovo
cuscini per il divano
uno schermo da 32 pollici

“Mi manchi”
*Questo messaggio è stato eliminato*
“Scusa, non era per te”

Elastici per i capelli
pile scariche e qualche spicciolo
nel posacenere pulito

E allora prendi il treno

E allora prendi il treno e
vieni
vieni da me

vestiti leggero
metti scarpe comode
anche se poi
scesa da quel treno
te ne farai di poco.

E allora prendi ferie e
vieni
vieni da me

chiudi il gas, l’acqua e la luce
lascia gli avanzi marcire in frigo
le lenzuola sbiadire al sole
la polvere cadere
sul lavoro arretrato.

E allora prendi l’auto e
vieni
vieni da me

porta poche cose
una felpa e due mutande
anche se poi
scesa da quell’auto
te ne farai di niente.