– September came…
– My ribcage bent. Sì, la so. La canti ogni anno.
– Che palle.
– Dimmelo a me…
– Settembre andiamo è tempo di migrare?
– E dove te vè?
– So un belino, non c’ho manco il passaporto.
– E alora.
– Sto diventando grande anche se non mi va?
– Eh, bòna.
– Ma lo sai che i fratelli Righeira son nati quasi quando me?
– E belin, quanti anni c’hai?
– E dai, il giorno.
– Ma tutti e due?
– No, uno, ma l’altro a ottobre.
– E quindi?
– E quindi per quello che diventavan grandi alla fine dell’estate.
– E non gli andava…
– Eh!
– Come a te.
– Eh!!
– Quindi una vita a fare l’indie snob, e poi la tua canzone-guida è L’Estate Sta Finendo.
– Guarda che è un pezzaccio, eh!
– Sì, sì…
– Ma sai che m’è successo oggi?
– Cosa.
– M’han dato del lui!
– Di nuovo…
– Delle suore!
– E quindi?
– E quindi c’ho le tette e la cellulite, suore di merda!
– Sì, ma ti succede ogni giorno da quando sei al mondo.
– Da meno, dai.
– Perché da bambina c’avevi i capelli lunghi e ti mettevano quelle gonnacce scozzesi e i sandaletti con gli occhietti.
– Quanta conformità tra le bimbe degli anni ottanta.
– Però non ti davano del lui.
– Forse avrei voluto.
– Ah sì?
– Sì, perché i maschi li vestivano meglio.
– Ma insomma…
– Tipo il grembiule nero a giubbottino l’avrei troppo voluto. E invece no.
– Grembiulino lungo a quadrettini rosa e caminare.
– Chemmerda.
– Per quello che ora ti vesti da H&M bimbo?
– Forse. Come quando vai a vivere da solo e campi a merendine e schifezze perché i tuoi non te le facevano mangiare.
– Ci sta.
– Belin.
– Biretta?
– Belin!
– Ma quant’è che ne fai?
– 43.
– Belin.
– Lo so.
Radicchio
– Comunque il radicchio fa cagare.
– Eh?
– No, è che continuo a comprarlo pensando che sia buono, poi ogni volta ci rimango di merda.
– Fammi capire: a te ora qui, su sta scogliera a picco sul mare, con questo orizzonte nitido che si vede diobono l’Africa…
– Belin l’Africa…
– Ma sì, dai, cosa c’è sotto la Corsica?
– La Sardegna.
– E poi?
– Mh.
– Vabbè, dico, ti sembra normale che adè te stai qua a pensare al radicchio?
– Eh ma perché guardavo il mare e mi sono venuti in mente i pesci, e i pesci non li ho mai sopportati.
– E che t’hanno fatto, poveri fanti?
– Era una battuta?
– Comunque anche a me non sono mai piaciuti.
– Sarà che c’hanno quelle facce da abelinati…
– Vedi che faceva ridere?
– No, fa ridere che ti fanno ridere le cose che non fanno ridere.
– Detto da te che fai battute che non capisce nessuno…
– Perché la gente è triste.
– E dai, sta storia che la gente è in un modo e te in un altro andava bene a quindici, a quaranta anche basta.
– Eh oh, è la verità.
– Vabbè, genio incompreso, ma perché continui a comprare quel belin di radicchio se sai che non ti piace? Io mica li compro i pesci.
– Ah, neanch’io. Al limite li adotto.
– …
– Ma perché il radicchio è bastardo. C’ha quella nomea di verdura figa, da risottini, da ricettine sfiziosine, e poi quando me lo faccio io diventa nero e triste e sa di veleno. C’ha proprio sto sapore che ti viene da chiamare il 118.
– 112.
– Sì, boh, dai.
– Magari non lo sai cucinare.
– Ma che ne so.
– Col gorgonzola è buono.
– Sì, col gorgonzola sì…
– Ma anche… Ti ricordi quel risotto al radicchio e marzemino che abbiamo preso al ristorante?
– Non l’abbiamo mica preso poi.
– Ah, già. Però sembrava buono.
– Sì, sembrava buono.
– Ci andiamo stasera?
– Dove, a quel ristorante lì?
– Eh.
– A me è venuta voglia di pizza.
– Vada per la pizza. Come la prendi?
– Radicchio e gorgonzola. Te?
– Io acciughe.
Uscire
– Non c’è niente.
– Mh?
– Niente, non c’è mai un cazzo di niente.
– E spegni, no?
– E poi?
– Potresti uscire, ad esempio.
– E dove vado.
– Che ne so, fatti due passi, prendi un po’ d’aria, non ti vedi che colore c’hai in faccia?
– Ma ci saranno due gradi.
– E allora che fai, divano fino a maggio?
– Perché no.
– Perché no! Non ti fa bene!
– Meglio di quelle donne che iniziano a prendere il sole in spiaggia a gennaio e a marzo son già color Sandra Mondaini…
– Ma che c’entra…
– …Con la pelle di cartapesta che ci puoi fare le montagne del presepe…
– …
– …Che c’hanno cinquant’anni ma gliene dai ottantacinque…
– Ho capito ma…
– …A seccare al sole come pomodori…
– Ma la pianti?
– …Col rossetto dato male, l’ombretto blu, lo smalto rosso sulle unghie dei piedi marroni.
– Stai esagerando.
– Cioè, si sentiranno anche delle fighe.
– Ma beate loro!
– Ma che beate, poveracce.
– Ma si può sapere a te che cazzo te ne frega?
– No, così, mica fa bene tutto quel sole.
– Ma una passeggiata, Cristo santo, ti sto solo dicendo di farti una passeggiata ogni tanto.
– Ma per andare dove?
– Ma che ne so! Mica bisogna sempre avere da andare da qualche parte.
– E allora cosa esco a fare.
– E allora vai a guardare le vecchie che prendono il sole in spiaggia.
– Ma quelle non sono vecchie, capito, sembrano vecchie perché…
– Sì, ho capito!
– …Per il sole. Non fa bene il sole.
– Va bene.
– Oh, c’è Masterchef.
– L’hai già visto ieri sera.
– E vabbè, lo riguardo che m’è piaciuto.
– Bah, io esco.
– E dove vai?
– A cagare. Vado a cagare. Esco, cammino venti chilometri nel bosco, poi mi fermo su un cucuzzolo e cago, e cago così forte che si formerà una valanga di merda che scenderà dal monte e seppellirà tutta la città e tu morirai su quel cazzo di divano sotto una valanga della mia merda mentre guardi la replica di Masterchef.
– Mh, ok, portati dei fazzolettini.
A te e famiglia
– Tanti auguri!
– Di che.
– …Di buon Natale!
– Manco fosse il mio, di compleanno.
– Ti ricordi cosa mi hai detto quando ti ho fatto gli auguri di buon compleanno?
– Ti ho chiesto come cazzo facevi a sapere che era il mio compleanno?
– Anche.
– E come facevi?
– Oh cretino, siamo fratelli.
– E quindi?
– Gemelli, oltretutto.
– Mah, io a sta storia che siamo gemelli non ci ho mai creduto.
– Eh sì, dev’essere un complotto.
– Ma ci hai visti?
– E chi se la ricorda la tua faccia.
– Per la barba, dici?
– Perché non ci vediamo mai.
– Eh oh.
– Eh oh, che?
– No no, niente.
– Neanche hai mai visto mia figlia, lo sai che ha fatto un anno?
– Glieli hai fatti gli auguri?
– …
– Mi pare sia una cosa a cui tieni, questa di fare gli auguri alla gente.
– Ma che hai che non va?
– Dovresti saperlo, siamo gemelli.
– Comincio a crederci poco anch’io.
– Vabbè, allora auguri.
– Vaffanculo.
– A te e famiglia.
– Vorrei poter dire lo stesso.
*click*
Certo che son belle le donne
– Certo che son belle le donne, eh.
– Eh sì.
– Anche quelle brutte, dico.
– E ma se son brutte…
– Ma sì, tipo hai presente la cassiera della Coop?
– Eh, ce n’è una, tanto…
– Dai, quella che c’è il sabato pomeriggio, vado sempre da lei anche quando c’è più coda che alle altre casse.
– Perché sei scemo.
– No, è che…
– Comunque no, non ce l’ho presente.
– Dai, quella con la faccia un po’ storta, pettinata come mia nonna.
– Non è morta tua nonna?
– Fai te.
– Mah.
– Non lo sai che i capelli crescono anche dopo che sei morto?
– Merda, bisognerà farsi trovare preparati allora.
– In che senso.
– No, dico, farsi uno di quei tagli per farli crescere in ordine.
– …
– Te lo chiedono sempre, i parrucchieri: che facciamo, li tagliamo o li facciamo crescere?
– Sì, e poi te li tagliano comunque e dopo un mese sei punto e a capo.
– Ma perché te vai dal barbiere di quando avevi sei anni. Ma poi c’hai due peli, che ne sai.
– Eh, appunto. Io li volevo far crescere.
– Per farti il riporto?
– Vai a cagare.
– Comunque ho capito qual è la cassiera.
– Ooh, sì?
– Sì, quella con quei capellacci lunghi rossicci senza un verso.
– E la faccia storta.
– Sì, non è proprio bellissima.
– Oh, che ti devo dire, io quando alza lo sguardo per salutarmi mentre mi mette lo scontrino nel sacchetto, che cazzo ne so, fa una faccia, c’ha un’espressione che io me la sposerei.
– Eeh, belin.
– Giuro. Ma pure quella lì…
– Quella alla fermata dell’autobus?
– Quale? Ah, sì, anche quella… Con quell’aria di una che c’ha avuto una giornata di merda. Non la trovi bella?
– Avrà il doppio dei tuoi anni.
– Ma che c’entra! Dico solo che è bella.
– Sì, va bene, io però preferisco le ventenni.
– Eh, ho capì.
– Sono fresche, piene di vita, di voglia di fare, di conoscere.
– Sì, sì…
– Le ventenni quella roba lì che ti deturpa il viso dopo una giornata di merda, mica ce l’hanno. Se la sciacquano via col Topexan.
– Dio, ma esiste ancora il Topexan?
– Ma che ne so. A me mi ci chiamavano da ragazzina, Topexan.
– Me lo ricordo.
– E certo, mi ci chiamavi pure te.
– E dai, eravamo fanti.
– Sarà per quello che adè vado dietro alle ventenni.
– Non ti seguo.
– Facevo cagare. Aggiungici tutta la sbatta di essere lesbica. Ora dai, c’ho il mio perché.
– …Ma resti umile.
– E dai, dico che ora è più facile. Quando cresci è più facile, ma ti resta come un buco nella cronologia degli eventi, se le cose non le vivi al momento giusto.
– No, aspetta, mi stai dicendo che ti piacciono le ventenni perché a sedici c’avevi i brufoli?
– Forse.
– Va già bene che non ti piacciono minorenni, allora.
– E vabbè, ma tutte le tempistiche si sfasano, capisci?
– Comunque guarda che mi piacciono anche a me le ventenni, eh.
– Eh, grazie, a te ti piace anche la cassiera coi capelli da morta.
– Dio, non farmici pensare.
– Te c’hai un problema.
– Oh, ma è sabato oggi?
– Sì, è sabato…
– Andiamo alla Coop?
– Ma c’abbiamo un aperitivo fra mezz’ora!
– Eh appunto, mica ci vorrai arrivare a mani vuote.
– …Al bar??
– Eh vabbè, metti che dopo rimediamo un invito a cena, c’abbiamo già il vino e non facciamo la figura dei cialtroni.
– Cinque minuti. Entri, prendi il vino e esci.
– Ok.
– Senza la cassiera.
– Dici che se pago col bancomat, la dà una sbirciata al nome sulla carta e se lo segna per cercarmi e contattarmi?
– Dico che se non è reato ci si avvicina.
– Solo per quello, dici.
– Essere così cretini, dovrebbe essere reato.
Mi pento e mi dolgo
– Mi pento e mi dolgo…
– Ti penti e ti duoli?
– Oh, cazzo… E te che ci fai qua?
– Ma come che ci faccio?
– È casa mia.
– C’ho l’ubiquità.
– Ma è casa mia. Camera mia. È…
– Ubiquità, frè.
– “Frè”? Ma come cazzo parli?
– Ma come parli tu, oh.
– Va bene, scusa.
– Dunque, dicevi?
– Che mi pento e mi dolgo…
– Di che?
– Dei miei… No, scusa, così non ce la faccio.
– A fare?
– A continuare… Dai, frè, te ne puoi andare?
– “Frè”? Ma come cazzo parli?
– …
– Dai, vai avanti, fai finta che non ci sono. Non è così che funziona?
– Sì, ma…
– Ma cosa?
– Ma… Non lo so, dai. Così è strano.
– Ma sono sempre io.
– Sì, però dai, cioè…
– Cioè che?
– Cioè che dai, è roba privata…
– Lo sai che la verrò a sapere comunque, vero?
– Sì, però… Anzi, a proposito: com’è che funziona? Telecamere nascoste? Microfoni? Microchip? Origliatori professionisti, tipo gli occhi e le orecchie del re?
– Te l’ho detto, frè: ubiquità.
– See, bona.
– E bona… O ci credi o non ci credi.
– Non ci credo.
– E allora mollami.
– Ma c’ho bisogno… C’ho… Mi sento in colpa, mi sono… Non sto bene, dai, dammi una mano.
– Ma se non ci credi non funziona.
– Allora ci credo. Ci credo, giuro. Ci credo. Aiutami, dai.
– Mmm…
– E dai, frè…
– Cerchi di diventare mio amico per avere dei favori da me?
– Sì.
– Non funzionerà.
– Perché?
– Ubiquità, ricordi?
– E allora?
– Pensaci bene.
– Certo che sei permalosetto, oh.
– Stocazzo.
– Ma…
– Ma stocazzo.
– Ok, scusa, dai. Biretta?
– Mh.
– E dai… C’ho la Poretti 4 malti…
– 4?
– 4.
– Va bene.
– Però prima puoi andare un attimo di là?
– Va bene. Ma ti ricordi la faccenda dell’ubiquità?
– Sì. Tu ti ricordi che non ci credo?
– Ah, già.
– Vuoi anche due patatine?
– Magari.
Ho mangiato il tuo budino
– Ho mangiato il tuo budino.
– Il MIO budino?
– Sì, quello in frigo.
– Quale frigo?
– Il mio.
– Ma non ci vediamo da due anni, come fa ad esserci un MIO budino nel tuo frigo?
– Infatti era scaduto.
– Ah, ecco.
– Però era buono.
– Mh. E perché non l’hai mangiato prima?
– Non mi andava.
– Potevi buttarlo.
– Mi dispiaceva.
– Hai tenuto un budino scaduto in frigo per due anni perché ti dispiaceva buttarlo?
– Era tuo…
– E in due anni non ti è mai andato, ma stasera improvvisamente…
– Avevo voglia di dolce e non avevo nient’altro.
– Capito.
– E allora poi ti ho pensato.
– E mi hai scritto. Dopo due anni. Per dirmi del budino.
– Sì.
– Vuoi dirmi qualcos’altro?
– No.
– …
– Buonanotte.
– Ciao.
Ho sognato che avevo un gatto
– Ho sognato che avevo un cane.
– Un cane?
– No, scusa, forse era un gatto. Ho sognato che avevo un gatto.
– Un gatto.
– Sì, un gatto. Ma perché fai quella faccia lì? Mica ho detto rinoceronte… Alpaca… Che ne so… Cefalopode. Se ti dicessi “ho sognato che avevo un cefalopode”, tanto tanto. Ma un gatto…
– Mh. E quindi sto gatto?
– Non mi ricordo. Lo portavo al parco.
– Allora era un cane.
– Ma perché, scusa, non ce lo posso portare un gatto al parco? Non hai visto quelli su Instagram che portano i gatti nei posti e gli fanno le foto fighe e diventano influencer della movida felina?
– Va bé, allora c’avevi sto gatto e lo portavi al parco.
– Sì. Ma poi scusa, era un sogno, eh. Te che sogni ti fai? Che ti svegli, mangi un toast, bevi un caffè, fai la cacca e corri al lavoro?
– Io non faccio sogni.
– E belin, adè.
– Ma no, davvero.
– Ma dai, è che non te li ricordi. Prova a pensarci, all’ultimo sogno che hai fatto.
– Boh, non saprei.
– Ma non è possibile, dai.
– Eh oh.
– Ma dormi, almeno?
– Sì, non meno di otto ore a notte.
– Sai che questo per me sarebbe un sogno bellissimo?
– Dormire otto ore a notte?
– Sì. Come fai? Non ce li hai i pensieri, le ansie, la testa piena delle cose successe durante il giorno, di quelle che avresti voluto che fossero andate diversamente, delle cose dette male e di quelle che avresti potuto dire, di tutto quello che dovrai fare il giorno dopo e come farlo? Non ti conti i battiti, i respiri, gli organi e le ossa? Non ti scappa la pipì anche se l’ultima volta che hai bevuto erano le due del pomeriggio? Non hai paura dei ladri, delle catastrofi, di una telefonata nel cuore della notte che ti dice che i tuoi genitori e tutti i tuoi amici sono morti?
– No.
– E se stanotte muoio?
– Cosa.
– No, dico: ci pensi se stanotte muoio e ti chiamano per dirtelo?
– Ma chi mi dovrebbe fare una chiamata del genere?
– Perché, non vorresti saperlo??
– Cosa cambierebbe se lo sapessi il mattino dopo?
– No, niente…
– Poi io il telefono lo spengo di notte.
– E se ti cercano?
– Ma chi.
– Boh… Tua madre?
– Mia madre non mi chiamerebbe mai di notte.
– Neanche se tuo padre avesse un infarto?
– No, aspetterebbe che fosse mattino.
– Ah. E tu non vorresti saperlo subito?
– Per fare cosa? Operarlo?
– Tu non sei normale.
– Però io dormo.
– Mh.