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Mi han detto che ti piacciono i ragazzi

Mi han detto che ti piacciono i ragazzi
col ciuffo
liscio, pettinato di lato
baffetto stretto
sguardo un po’ incazzato

Mi han detto che ti piacciono i tipi
da spiaggia
costume a fiori
ciabatte infradito
abbronzatura discreta sotto peli sottili

Mi han detto che hai comprato una moto
per andare al mare col tuo ragazzo
col ciuffo
e il costume a fiori
che non sorride mai

Mi han detto che parlate poco
che non vi baciate spesso
che sulla sabbia bagnata
mi hai fatto un ritratto
col dito medio

La mattina

La mattina sa di zucchero a velo
su soffritti digeriti male

Sa di chiuso
di lenzuola umide
del vomito del gatto
sul tappeto della cucina.

La mattina sa di grasso di catena
su polpacci depilati in fretta

Sa di rabbia
di vento negli occhi
di colpi di grancassa
sotto la maglia sudata.

La mattina sa di fiori morti
nei bidoni dei cimiteri

Sa di incertezza
di lacrime secche
dei baci appena sveglie
che non ci diamo più.

Stamattina sono andata in bici dopo due mesi

Stamattina sono andata in bici dopo due mesi, e mentre mi vestivo ho avuto una sgradevole sorpresa, che poi non è stata affatto una sorpresa: i calzoncini faticavano a salire, la giacca a chiudersi, anche le scarpe sembravano essere diventate più strette.
Merda, due mesi e non mi entra più niente.
Ma poi perché dico che non mi entra, quando sono io a non entrarci? È un chiaro tentativo di deresponsabilizzazione: è colpa loro, mica mia. Bastardi.
Ah, come sono fan della deresponsabilizzazione.
Ma torniamo a noi. A me.
A me che oggi sono andata in bici dopo due mesi e non ero buona da un belin di niente, ma porca puttana quanto ne avevo bisogno.
Di sudare, di avere il fiatone, di sentire il cuore pompare. Perché sì: sono andata fino a Lérse, mezz’ora a passo nonno e c’avevo già il fiatone. Ma cosa volete, in questi due mesi il mio massimo sforzo ginnico è stato camminare sulle stampelle, sollevare le birette e lavarmi il dente su un pé solo. ‘Na vitaccia.
Il cuore, comunque, è una roba assurda. Che c’ha bisogno di battere forte per smettere di battere forte. Come se ne avessimo più di uno, ognuno con una funzione diversa, tipo i polpi. Un cuore per l’ansia, uno per l’amore, uno per restare vivi.
Ma chissà cosa dico, c’ho più vino che saliva in bocca.
Un ultimo bicchiere, uno soltanto.
L’ultimo bicchiere di vino bevuto tutto d’un fiato prima di andare a letto è come una testata secca contro al muro, data di proposito, col preciso intento di crollare sul colpo e non risvegliarsi prima di averlo smaltito tutto, quel vino, e prima che tutto, ma proprio tutto, vada molto più che benissimo.
Così, da solo, senza nessuno sforzo.
Allora io mi metto qui un attimo a riposare gli occhi, giusto un attimo, poi arìvo eh.

Questo messaggio è stato eliminato

Giacca di plastica
le solite Vans gialle
la destra un po’ slacciata

Birra rossa Fior Fiore
tè deteinato
caffè, ma non per me

Un comodino nuovo
cuscini per il divano
uno schermo da 32 pollici

“Mi manchi”
*Questo messaggio è stato eliminato*
“Scusa, non era per te”

Elastici per i capelli
pile scariche e qualche spicciolo
nel posacenere pulito

Mi ricordo

Mi ricordo montagne bianche
come i miei capelli
bianchi
fra le tue dita.

Mi ricordo coperte verdi
con la tasca per i piedi
che ne contiene quattro
solo se strettissimi.

Mi ricordo la brina
creparsi sui vetri
e il tormento, solido
farsi più tenue.

Vorrei ucciderti nel sonno

Vorrei ucciderti nel sonno

Tagliarti la gola
le arterie
la strada

Soffocarti con un calzino
con la maglietta dei CCCP
con le lenzuola stropicciate da un’altra

Ucciderti

Farti paura da morire
farti a pezzi tutti uguali
farti cadere male

Nel mio sonno
che non arriva
che non mi sveglia

Che mi lascia sola

Te sei te, e noi non siamo un cazzo

Cerchi di vino rosso sul tavolo
e su una multa da pagare.
Poca luce dalle persiane chiuse
mi ricorda dove sono.
“Sei sveglia”, mi dice.
“Lo sono?”, le dico.
“Le nove”, mi dice.

Cerchi di vino rosso attorno agli occhi
e alla testa
che vorrei sbattere contro le persiane chiuse
mentre nella poca luce cerco te
che sei sempre te
mentre noi – me e te –
non siamo un cazzo.

Era davvero il caso?

Era davvero il caso di lasciarsi
andare
cadere
sbattere al muro
trasportare dalla corrente
battere dal tempo
sul tempo
fuori tempo?

Di lasciarsi stare
era davvero il caso?

Di misurarlo, sto tempo
che si misura in drammi
e non in grammi?

Ci baciavamo

Ci baciavamo sulle mura
a febbraio
C’avevamo il Sì
gli occhi celesti
le maglie a righe
e gli occhiali con le lenti blu

Ci baciavamo in auto
alle sei del mattino
C’avevamo sonno
l’odore di fumo
i pantaloni bruciati
e i capelli rasati

Ci baciavamo al cinema
di pomeriggio
C’avevamo la sete
la voglia
e una bottiglia di vino
nascosta nella giacca

Ci baciavamo in spiaggia
la notte
C’avevamo paura
la smania
i denti bianchissimi
e un sacco di domande

Ci baciavamo in bagno
nei locali la sera
C’avevamo un segreto
le cene saltate
i vestiti stropicciati
e le mani sudate

Ci baciavamo al tramonto
sul ciglio della strada
C’avevamo i sorrisi
gli sguardi dementi
le frasi d’amore
e il riflesso del mare

Ci baciavamo ai semafori
sul Liberty
C’avevamo una casa
dei gatti
un passato di merda
e nessuna speranza

Ci baciavamo nei sogni
ai tavolini dei bar
C’avevamo i cuori spezzati
le vite incerte
l’ansia del futuro
e troppa fantasia

Nuova Zelanda

Da qui non si vede niente
due pizzerie
un cortile interno lordo
un vicolo cieco
dove la gente va a pisciare

Niente colline
o monti innevati
niente vallate
né orizzonti sconfinati

Non si vede il cielo
e se cerchi il mare
non sai da che parte guardare

Ma se chiudo gli occhi
e se tu chiudi i tuoi
sulla nostra pelle il mare
il cielo, le colline
i monti e la neve

E se poi li aprissi
e anche tu li aprissi
noi, da qui
vedremmo pure la Nuova Zelanda