Il coming out coi miei genitori è stato pavido e paraculo come solo io so fare. Una di quelle robe tipo: “mamma, ti devo dire una cosa: mi drogo forte. No, scherzo, ho preso una nota perché m’è scappato un rutto in classe”.
Ma più così:
“mamma, non vengo a cena perché – sigh sob hic – la mia rag… – coff coff – mi ha lasciata, sto malissimo e penso che morirò”.
“La tua cosa??”
“La mia… buuuuuu uèèèèè oiméééé…”
“Ok bambina di mamma, stai tranquilla, arrivo subito”.
Ah, parliamo di sei anni fa.
A mio padre ho lasciato che lo dicesse lei, giusto per rimanere coerente e perché poi deh, io e lui siamo due zittoni, non mi sembrava il modo migliore per rompere questa tradizione.
I miei amici lo sapevano da quel dì, probabilmente da prima di me; credo a un certo punto di aver semplicemente smesso di negarlo.
Un paio di giorni fa mentre “correvo” (fra virgolette per rispetto nei confronti di chi corre davvero), ho deriso fra me e me un bimbo che frignava perché era caduto e si era fatto male a una mano: se la teneva e se la guardava preoccupatissimo mentre la madre, che camminava poco più avanti, gli insegnava la durezza della vita non cagandolo sebbene, disperato, le chiedesse di fermarsi, di aspettarlo, che gli “sembrava” di aver visto del sangue.
Oggi mentre pedalavo sulla ciclabile di Viale Italia ho fatto un frontale con un tizio in monopattino: ha preso una buca a bomba, non ci ha capito più un cazzo e mi si è schiantato contro. Poi uno dice le strade, le auto, le moto, i camion… No, diobono: un monopattino sulla pista ciclabile.
E vabbè, il punto qual è? Che mi sono fatta male a una mano e mi è venuta voglia di sedermi in terra e piangere fortissimo, ma ho avuto la decenza di non farlo perché la smeno sempre con ‘sta storia che c’ho una certa, e poi mi sono ricordata di quel bambino frignone e ho capito perché mi stan sul cazzo i bambini frignoni: perché dei bambini frignoni, io, sono il fottuto gran visir.