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Speciale

In psicoterapia la prima cosa che m’è toccato imparare è che non sono speciale. Te lo sbattono in faccia come una roba innocua che anzi, dovrebbe farti sentire meglio, meno solo, e invece ti devasta, ti destabilizza; ti costringe a ridimensionarti, a riposizionarti, ad accollarti la responsabilità di ciò che sei e di come la tua vita sia andata fino a quel momento. È come se ti stessero dicendo che c’hai un cancro, e che non è che ce l’hai perché abiti a sei chilometri dall’Enel, o per colpa dei cellulari, dell’olio di palma o di quella volta che te mae t’ha cotto il sugo in una padella di teflon rigata, ma perché hai fumato, bevuto e mangiato di merda ogni stramaledetto giorno dei tuoi ultimi vent’anni.
E te che t’eri abituato a pensarti troppo sensibile, troppo buono, troppo empatico, troppo intelligente, brillante, sottile, destinato alla solitudine dell’incomprensione per colpa di una maledizione, una sventura congenita sulla quale non avevi nessun potere, ti ritrovi perso, disorientato, spersonalizzato. Una merda. Uno scemo. Un disastro.