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Stamattina sono andata in bici dopo due mesi

Stamattina sono andata in bici dopo due mesi, e mentre mi vestivo ho avuto una sgradevole sorpresa, che poi non è stata affatto una sorpresa: i calzoncini faticavano a salire, la giacca a chiudersi, anche le scarpe sembravano essere diventate più strette.
Merda, due mesi e non mi entra più niente.
Ma poi perché dico che non mi entra, quando sono io a non entrarci? È un chiaro tentativo di deresponsabilizzazione: è colpa loro, mica mia. Bastardi.
Ah, come sono fan della deresponsabilizzazione.
Ma torniamo a noi. A me.
A me che oggi sono andata in bici dopo due mesi e non ero buona da un belin di niente, ma porca puttana quanto ne avevo bisogno.
Di sudare, di avere il fiatone, di sentire il cuore pompare. Perché sì: sono andata fino a Lérse, mezz’ora a passo nonno e c’avevo già il fiatone. Ma cosa volete, in questi due mesi il mio massimo sforzo ginnico è stato camminare sulle stampelle, sollevare le birette e lavarmi il dente su un pé solo. ‘Na vitaccia.
Il cuore, comunque, è una roba assurda. Che c’ha bisogno di battere forte per smettere di battere forte. Come se ne avessimo più di uno, ognuno con una funzione diversa, tipo i polpi. Un cuore per l’ansia, uno per l’amore, uno per restare vivi.
Ma chissà cosa dico, c’ho più vino che saliva in bocca.
Un ultimo bicchiere, uno soltanto.
L’ultimo bicchiere di vino bevuto tutto d’un fiato prima di andare a letto è come una testata secca contro al muro, data di proposito, col preciso intento di crollare sul colpo e non risvegliarsi prima di averlo smaltito tutto, quel vino, e prima che tutto, ma proprio tutto, vada molto più che benissimo.
Così, da solo, senza nessuno sforzo.
Allora io mi metto qui un attimo a riposare gli occhi, giusto un attimo, poi arìvo eh.