Più dell’isolamento, della solitudine, della costante ansia ipocondriaca, della claustrofobica mancanza d’aria, della nostalgia delle persone, dei luoghi e della libertà, dello sconforto, della sensazione che non se ne possa che uscire malissimo e mai più, della carrettata di sensi di colpa derivanti dal fatto di provare mio malgrado tutti questi sentimenti, anche quando cerco di considerare la situazione con un minimo di ottimismo e di relatività. Più di tutto questo, c’è una roba che mi è venuta veramente a nausea (e lungi da me pensare di esserne immune), ed è l’abuso di frasi che iniziano con “la gente”. La gente non ha capito, la gente se ne frega, la gente esce senza motivo, la gente fa questo, la gente non fa quello. La gente è un’entità a noi esterna ed estranea su cui riversare ogni colpa, mentre noi siamo gli unici ad essere dotati di buon senso, di empatia, di intelligenza. Gli unici ad essere onesti, a rispettare le regole, ad avere il dono della comprensione, della cortesia, della bontà. Gli unici a pagare le tasse, a saper guidare, a sapere dove mettere la X in cabina elettorale. Gli unici che sanno cos’è giusto e cos’è sbagliato. Genitori perfetti, amici leali, figli amorevoli, lavoratori encomiabili, valorosi membri di una società a cui prestiamo il nostro prezioso e incommensurabile senso civico, ma della quale non facciamo realmente parte, essendoci autoproclamati esseri superiori.
Sono la prima a caderci. Sono la prima a guardarvi tutti con diffidenza, a non sentirmi in buone mani quando le mani in cui mi trovo sono quelle di tutti voi, su cui l’unico potere che posso esercitare è la fiducia. Non mi piace, mi fa cagare e ne voglio uscire.
Detto ciò, a quelli che scraciano per terra, una calcagnata nella nuca gliela darei.